Soviet Ladies

"Soviet Ladies"

Dischi Soviet Studio

20 Novembre 2015

E’ esplosivo come una rivoluzione il debutto dei Soviet Ladies, che si sono scelti questo nome (da cui deriva anche il nome degli studi di registrazione e quello dell’etichetta discografica che gestiscono da anni) pur avendo le proprie radici nei dintorni di Padova e arrivando un secolo dopo il vagone piombato di Lenin. Calzante tanto per il fil rouge estetico che richiama in continuazione la storia sovietica (come i titoli delle canzoni “Cyberia”, “Transitaliana” o “Kiev”), quanto perché è sì un’opera prima, ma con una gestazione lunga, maturata nel tempo, così come fu l’opposizione al regime zarista in Russia. Gastone “Belsen” Penzo, Matteo Marenduzzo e Luca Andretta cominciano a suonare come Soviet Ladies nel 2006. L’inizio è promettente, ma i tempi non sono maturi e i nostri si prendono un break fino al 2012. Poteva restare un’occasione mancata, invece la loro rivoluzione è stata solo rimandata, portando ora in dote un disco che oltre alla freschezza di un esordio aggiunge la maturità di chi sa quanto un gruppo si basi su equilibri sottili, a volte difficili da mantenere. “Disco Pistols” apre le danze ed è una scarica elettrica che esprime l’urgenza “ragionata” che attraversa tutti i dieci brani di questo disco. Dai pezzi più veloci (la ballabile “Tropicana” o la finale “Animal Balls”) a quelli più lenti (“Transitaliana”, che sfocia quasi in un postrock strumentale, e la sospesa “San Salvador”), il collante che tiene unito il tutto è l’autorevolezza con cui i Soviet Ladies riescono a muoversi in un territorio vasto e insidioso perché parecchio battuto, che oscilla tra new wave e postpunk. Ma qui ogni esempio viene destrutturato, ogni influenza demolita per essere ricostruita e rivisitata, l’atmosfera si fa inquieta e il suono si scalda e si riverbera, come accade quando ritroviamo la chitarra sognante dei Diiv, in un pezzo come “Graveyards” o ancor di più in “Technical Life”, possibile anthem radiofonica del disco. Gastone, Matteo e Luca parlano di contraddizioni, di mancate realizzazioni, delle città di provincia in cui sono cresciuti, di quel Veneto industrioso e paranoico, ricco e disperato, liberista e reazionario. E il disco dei Soviet Ladies sembra essere la colonna sonora perfetta per quei dormiveglia pomeridiani mentre fuori impazza la nebbia e tutto sembra ovattato e statico, ad eccezione della figura nello specchio di fronte a voi che si dimena con le cuffie nelle orecchie e vi somiglia un sacco. Quella con la maglietta di Unknown Pleasures. Perché a volte un giro di batteria quadratissimo può aprire un mondo (“Asexual DJ”), o un basso pulsante può rendere la vita migliore. Con quel plus per i mixaggi dato dal passaggio all’Outside Inside di Montebelluna, uno degli studi più intriganti del nordest dove negli ultimi anni sono usciti piccoli grandi capolavori noise/wave rock (dai Buzz Aldrin, ai Mojomatics, ai Movie Star Junkies) e il mastering finale oltreoceano a Santa Monica, California. Tutto il resto è pura energia, per un debutto atipico e potentissimo. Tutto il resto sono i Soviet Ladies, che ci avranno anche messo qualche anno per riprendersi e assestarsi, ma ora che la rivoluzione è partita si spera non si fermino più.