Imbevuto delle numerose influenze musicali dei componenti della band, formata dal nucleo dei Soviet Ladies (Matteo Marenduzzo, Luca Andretta e Paolo Trolese) a cui si è unito Walter Zanon – anche lui in passato attivo in progetti musicali del Nord Est come Disfunzione e Mi Sa Che Nevica – il progetto Lacosa è nato nel 2018, inizialmente per lavorare su brani strumentali. Fondamentale è l’influenza del cinema di fantascienza degli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, tanto che l’idea di partenza era di creare una soundtrack per un film immaginario, ispirato al libro illustrato “Spacewreck” di Stewart Cowley (“Catastrofi Spaziali in Italia), del 1979. Lo stesso nome della band rivela la passione per un mondo, potremmo chiamarlo immaginario, in cui musica, cinema e arti visive convergevano in uno stile inconfondibile. Dopo l’ingresso di Walter nella band nel 2019, le tracce fino ad allora prodotte sono state rielaborate e trasformate in canzoni.
Il disco è stato registrato in session diverse, a distanza di anni (in parte nel 2019 e poi nel 2022) in parte in analogico (con un vecchio registratore Revox), in parte in digitale. Il drumming è principalmente elettronico, realizzato su pad e drum machine, mentre i suoni nativi di sintetizzatore sono stati ampiamente filtrati ed elaborati per cercare di dare l’idea della lontananza, del passato e del ricordo, anche attraverso l’uso di un vecchio campionatore a 12 bit E-mu, chitarre e basso fanno più spesso un lavoro di punteggiatura che di guida. I quattro trovano un terreno comune nell’amore per la new wave, il dream pop, l’indie elettronico ma la lunga gestazione del disco, in parte dovuta agli impegni personali, in parte ai rallentamenti che tutti hanno subito durante il periodo pandemico, fa loro partorire un oggetto imprendibile e dissonante, a tratti tagliente, distante e appassionato nello stesso tempo. La scrittura dei brani è stata mossa da un lavoro di introspezione e rielaborazione di esperienze personali, anche traumatiche. La principale ispirazione è arrivata non tanto dai suoni, ma da luoghi fisici (rovine classiche e medievali) come metafora della capacità di riscoprire il passato e tentare il gioco impossibile di darne una lettura. I testi percorrono la strada che porta, se si è fortunati, a quella comprensione di sé, a quella illuminazione che si può sperimentare una volta terminate le transizioni da eventi dolorosi. E’ un disco che gioca con la claustrofobia, in cui la band sembra sempre sul punto di cedere a idee melodiche e ritmiche di ampio respiro per fermarsi qualche passo prima di cedere a quella tentazione, scegliendo la svolta che porta in un corridoio di suoni stridenti, portandoci per mano in un labirinto di synth e chitarre in cui ha senso perdersi. Anche i brani più radiofonici come “Nagger” e “Je SUS” (scelti infatti come singoli usciti prima dell’album) non abbandonano completamente la strada più sghemba, lasciandoci piacevolmente disorientati. LACOSA è un esordio ma anche un progetto che nasce inevitabilmente già maturo e consapevole, vista la lunga esperienza dei suoi membri: una nuova avventura, una nuova vita a cui si è giunti attraverso un processo catartico dove la musica ha sempre il suo ruolo centrale.
LACOSA
Shine
A quattro anni dal loro esordio, tornano i Neko At Stella con un nuovo album intitolato “Shine”, anche questo pubblicato da Dischi Soviet Studio. La band fondata da Glauco Boato ha trovato un nuovo assetto ed è ora un trio, composto dallo stesso Glauco a chitarra e voce, da Jacopo Massangioli alla batteria e Roberto Pecorale a organi e piano elettrico. La nuova formazione a tre dedica il primo periodo al riarrangiamento dei brani del primo album e all’attività live: ed è proprio da questo periodo di attività frenetica che si delinea il suono di oggi dei Neko at Stella che, senza tralasciare le influenze degli inizi – il blues delle origini, arricchito di elementi che si spingono nei territori del desert-rock e dello shoegaze – si fanno guidare dai profondi suoni di organo distorto aggiunti dalla presenza di Roberto verso confini più oscuri, a volte prepotenti e rumorosi, a volte inquieti e dilatati. Ad aprile 2017 è tempo di tornare in studio: la scelta cade su gli Oxygen Studios di Paride Lanciani (formatosi con Steve Albini), dove “Shine” viene registrato in presa diretta e totalmente in analogico. In continua oscillazione tra quiete e turbamento, nel nuovo album percorriamo sentieri scolpiti nella roccia con fraseggi tra ritmo, melodia e rumore, che sfociano talvolta in un ancestrale caos: un viaggio oltre il quale si vede la cura maniacale del suono. Un disco in cui, a dispetto del titolo luminoso, il trio fiorentino descrive il proprio lato oscuro, non solo come individui e come band, ma anche da un punto di vista collettivo e universale. Molti dei brani infatti sono riflessioni sulla società contemporanea, sulle dinamiche tra vittime e carnefici, a volte in un rimando tra livello personale e sociale (“White”, “The Desert Comes”), altre calandosi nel sentire degli ultimi della terra, come in due brani dedicati alle vittime delle guerre del nostro tempo, che soccombono sotto le bombe o giacciono sul fondo del Mediterraneo (“Put It Down” e “Victims”), oppure nella title track “Shine”, in cui tra aperture soundgardeniane si immagina il pianeta Terra rinato dopo la scomparsa degli ultimi uomini. E’ un album ambizioso “Shine”, frutto di molti anni di gestazione e di un profondo dialogo creativo tra i membri della band, che ha trovato nella splendida opera della giovane artista fiorentina Giulia Mignolli, aka Lisca di Pescia, il completamento visivo della visione musicale e del viaggio psichedelico dei Neko At Stella.
L’ultimo sguardo
Con “L’ultimo sguardo” gli En Roco sono giunti al quinto album ed è quindi tempo di affermare quanto è stato precedentemente scritto su di loro e sul loro raffinato indie-pop di notevole spessore: una band quella ligure, che pur facendo della semplicità e di una certa “normalità” umana la propria bandiera, rivela una profondità artistica complessa, oltre che una maturità ormai più che consolidata dopo 15 anni di esperienza, scanditi non solo dai quattro riuscitissimi album precedenti più un EP e un 7 pollici, ma costellati anche da una miriade di incontri e progetti. “L’ultimo sguardo” è un album composto da 14 tracce nate in collaborazione con un novero di notevoli musicisti e si presenta in modo decisamente originale: ad esempio grazie alle varie copertine del disco tra cui si potrà scegliere la copia da acquistare, idea nata dalla collaborazione tra En Roco, Papê e Egg Creative Stuff e realizzata presso il laboratorio serigrafico del collettivo Disorder Drama di Genova. Il risultato è l’interazione tra molteplici linguaggi e il desiderio di collaborare per creare sempre qualcosa di nuovo, che continuerà anche nei mesi successivi alla pubblicazione dell’album, mesi nei quali gli En Roco porteranno in tour illustrazioni, opere uniche e in serie, per allestire piccole mostre aggiungendo così una componente visiva alla musica ed andando a rafforzare quel concetto di “sguardo” che fa da tema portante all’intero album. “L’ultimo sguardo” è quello che usiamo per entrare davvero in contatto con la realtà, capendone il senso in un tempo relativamente breve ma lungo abbastanza da imprimersi dentro di noi e lasciarci qualcosa prima di sparire. Uno sguardo è anche “ultimo” perché quando le cose riaffiorano ai nostri occhi e ai nostri sensi appariranno sempre diverse, non solo laddove ci si presentano con altre sembianze ma specialmente perché noi stessi ci relazioniamo con altri sentimenti: ogni sguardo è anche l’ultimo, perché quello successivo, avendo altri presupposti, è sempre uno sguardo nuovo. Si parte subito a ritmo sostenuto con il trittico composto da “Elettricità”, “Salvo il salvabile” e “Dormo e non lo so”. La quarta traccia “A Pietra Ligure” è una veloce ma efficace cartolina dalla Liguria, dedicata ai ricordi d’infanzia del cantante e scrittore Enrico Bosio. Chitarre e batteria in levare fin dalle prime note nell’ancor più concentrata “La Complicità”: il ritmo serrato di ogni strumento la fanno sembrare una piccola scheggia, dove la malinconia si affaccia inafferrabile tra i passi veloci del brano. “La Soluzione”, che ospita la voce di Amerigo Verardi, affiancata da quella di Francesca Sophie Giona, è uno dei momenti più intensi dell’album, un brano dalle venature quasi dark, tutto costruito in crescendo e dedicato alla dialettica tra musica, silenzio e parole. La seguente “Mi perdono” si apre con i malinconici arpeggi a 12 corde della chitarra di Gionata Mirai, per virare gradualmente verso un registro decisamente rock. E’ poi il turno di “Su quei monti” il pezzo che nei suoni possiamo avvicinare maggiormente a una certa tradizione di canzone genovese. “Io ti salverò” suona decisamente baustelliana, in parte anche per il dialogo tra voce le voci maschili di Enrico e quella femminile di Francesca. “Zitta” alza di nuovo il ritmo e ci racconta il potere distruttivo dei dubbi all’interno delle relazioni sentimentali. “Il dio del mare” è un altro dei momenti più importanti del disco e vede ospite Lori Goldston (musicista e compositrice già al fianco di Nirvana, Earth, David Byrne, Parenthetical Girls, Dead Science, Black cat Orchestra) al violoncello, la cui presenza dona grande profondità sonica a un bellissimo brano, in cui l’incrocio degli strumenti costruisce un vero paesaggio della natura e dell’anima. “In senso deteriore” vanta la maggiore presenza di ospiti di tutto il disco: da Gimmi Guenn, Deian e Tristan Martinelli alle voci, al banjo di Alessandro Davi, al clarinetto finale di Jacopo di Forte. Siamo ancora dalle parti di un leggero pop striato di folk in “Ragionare con i piedi” e poi l’album si chiude con l’ipnotica “Qualcosa da dire”, in cui troviamo ospite di nuovo il clarinetto di Jacopo di Forte.
La grandine!
Si dice che il chicco di grandine più grande della storia pesasse oltre un chilo, abbastanza da spaccare una schiena. Ma chiunque abiti vicino a un campo coltivato sa che ne bastano di molto più piccoli per devastare il lavoro di mesi. Ad esempio i trevigiani, che da sempre vivono tra i vitigni di prosecco e le distese violacee di radicchio. E trevigiani sono i Norman, che di grandine e di musica (e di prosecco) ne sanno abbastanza, dopo dieci anni di concerti e un apprezzato disco d’esordio (“La Rivolta Dei Bambini Blu” del 2009). Trevigiano è Massimiliano Bredariol, già con Artemoltobuffa e Valentina Dorme, qui ideatore della band che lo vede ora impegnato con Lorenzo Tomio, Redy Bonaventura, Simone Zaffalon e Igor De Paoli a confezionare il secondo lavoro ufficiale della band, registrato e mixato da Davide Dall’Acqua. “La Grandine!” arriva così, con undici canzoni che parlano di quando pensi di avere tutto sotto controllo e invece no, di quando il tuo piccolo mondo esplode e non puoi far altro che provare a contenerne il fragore. “La Grandine!” è prendere la lezione dei grandi cantautori del passato, ma anche del presente, e renderla in una propria declinazione, fatta di storie minime, di ditte di traslochi che non spostano solo mobili, di abitudini rovesciate. Con una musica che mixa gli amori dei Norman, da Capossela a Paolo Conte, dai Radiohead a Scott Walker e che si incastra perfettamente in una tradizione geografica che ha saputo sfornare da sempre piccoli gioielli, dagli Estra di Giulio Casale ai Radiofiera, dalla poetica di Mario Pigozzo Favero all’ultimo Iacampo. E così “La Grandine!” è un disco che giunge soffuso, dove una quasi ninnananna su un incedere marziale (“Gondrand”) fa da manifesto e poi vira subito in quelle costruzioni pop complicate e bellissime che hanno reso imprescindibili gli Scisma (“Bigdominorally”), senza aver poi paura di raddrizzarsi e accelerare verso altri lidi (“Nonenewyork”). Perché la musica dei Norman è riconoscibile, è pesata ma non sembra aver voglia di essere imbrigliata in uno schema: così c’è la voce di Paola “Dilaila” Colombo ne “Il Danno” a dare ulteriori colori alla tela, c’è la capacità di concatenare concetti dolorosi (“Sai quante cose sbagliate succedono qui…” in “4:44”) a episodi più leggeri (la citazionista “Memorie Di Una Testa Scamosciata”), ogni volta confezionando il mood più giusto in cui inserire parole che non sono mai scontate, che riempiono la metrica ma che rimangono anche addosso, un po’ sgranate, a volte ironiche e amare. Così puoi parlare dei confini, geografici e sentimentali (“Leuca”), puoi lasciar andare la musica senza preoccuparti di metterle un freno (“Gara Di Resistenza”), puoi mantenerla fumosa cantando del pittore veneto “Gino Rossi”, delle città che ha visto, del suo bisogno di controllo e dei suoi ultimi momenti (“Io me ne andrò non mi prenderete mai…”). Puoi buttare via i calendari (“Tra Un Anno”) e puoi chiudere il tutto diventando grandine, chiedendo agli altri di scansarsi, perché ogni tanto rischiamo di fare male anche a chi ci vuole bene. Tutto questo è “La Grandine!”, un universo multiforme, la provincia ruspante e tradita, le piccole manie, tutte concentrate in un disco, in undici chicchi. Un’esplosione nucleare dentro una snowball, come descrive l’illustrazione di copertina di Matteo Cremona. Il controllo è un’illusione, questa è la vita, come prendere i goal in contropiede. Perché la grandine quando arriva non ci puoi far tanto. E i Norman questo sembrano averlo capito magnificamente.
Soviet Ladies
E’ esplosivo come una rivoluzione il debutto dei Soviet Ladies, che si sono scelti questo nome (da cui deriva anche il nome degli studi di registrazione e quello dell’etichetta discografica che gestiscono da anni) pur avendo le proprie radici nei dintorni di Padova e arrivando un secolo dopo il vagone piombato di Lenin. Calzante tanto per il fil rouge estetico che richiama in continuazione la storia sovietica (come i titoli delle canzoni “Cyberia”, “Transitaliana” o “Kiev”), quanto perché è sì un’opera prima, ma con una gestazione lunga, maturata nel tempo, così come fu l’opposizione al regime zarista in Russia. Gastone “Belsen” Penzo, Matteo Marenduzzo e Luca Andretta cominciano a suonare come Soviet Ladies nel 2006. L’inizio è promettente, ma i tempi non sono maturi e i nostri si prendono un break fino al 2012. Poteva restare un’occasione mancata, invece la loro rivoluzione è stata solo rimandata, portando ora in dote un disco che oltre alla freschezza di un esordio aggiunge la maturità di chi sa quanto un gruppo si basi su equilibri sottili, a volte difficili da mantenere. “Disco Pistols” apre le danze ed è una scarica elettrica che esprime l’urgenza “ragionata” che attraversa tutti i dieci brani di questo disco. Dai pezzi più veloci (la ballabile “Tropicana” o la finale “Animal Balls”) a quelli più lenti (“Transitaliana”, che sfocia quasi in un postrock strumentale, e la sospesa “San Salvador”), il collante che tiene unito il tutto è l’autorevolezza con cui i Soviet Ladies riescono a muoversi in un territorio vasto e insidioso perché parecchio battuto, che oscilla tra new wave e postpunk. Ma qui ogni esempio viene destrutturato, ogni influenza demolita per essere ricostruita e rivisitata, l’atmosfera si fa inquieta e il suono si scalda e si riverbera, come accade quando ritroviamo la chitarra sognante dei Diiv, in un pezzo come “Graveyards” o ancor di più in “Technical Life”, possibile anthem radiofonica del disco. Gastone, Matteo e Luca parlano di contraddizioni, di mancate realizzazioni, delle città di provincia in cui sono cresciuti, di quel Veneto industrioso e paranoico, ricco e disperato, liberista e reazionario. E il disco dei Soviet Ladies sembra essere la colonna sonora perfetta per quei dormiveglia pomeridiani mentre fuori impazza la nebbia e tutto sembra ovattato e statico, ad eccezione della figura nello specchio di fronte a voi che si dimena con le cuffie nelle orecchie e vi somiglia un sacco. Quella con la maglietta di Unknown Pleasures. Perché a volte un giro di batteria quadratissimo può aprire un mondo (“Asexual DJ”), o un basso pulsante può rendere la vita migliore. Con quel plus per i mixaggi dato dal passaggio all’Outside Inside di Montebelluna, uno degli studi più intriganti del nordest dove negli ultimi anni sono usciti piccoli grandi capolavori noise/wave rock (dai Buzz Aldrin, ai Mojomatics, ai Movie Star Junkies) e il mastering finale oltreoceano a Santa Monica, California. Tutto il resto è pura energia, per un debutto atipico e potentissimo. Tutto il resto sono i Soviet Ladies, che ci avranno anche messo qualche anno per riprendersi e assestarsi, ma ora che la rivoluzione è partita si spera non si fermino più.
Progetti in corso
Progetti conclusi
- Anguish
- Any Other
- Apocalypse Lounge
- ARTO
- Bachi Da Pietra
- Big Mountain County
- Bobby Previte
- Bobby Previte, Jamie Saft, Nels Cline
- Brovold/Saft
- Cabeki
- Calibro 35
- Canadians
- Capra
- Cesare Livrizzi
- Chat Noir
- Coma Berenices
- Comaneci
- Cuong Vu 4tet
- Daniele Ledda
- Dave Liebman, Adam Rudolph, Hamid Drake
- Dave Liebman, Adam Rudolph, Tatsuya Nakatani
- Dulcamara
- Egle Sommacal
- Egokid
- Emma Tricca
- En Roco
- Eraldo Bernocchi
- Eraldo Bernocchi, FM Einheit, Jo Quail
- Francesco Bucci
- Francesco Guerri
- Gaudi
- Giorgi Mikadze
- Giovanni Succi
- Hannah Williams & The Affirmations
- Hate Moss
- His Clancyness
- Hit-Kunle
- Horseloverfat
- Humanbeing
- J. Peter Schwalm, Stephan Thelen
- J.Peter Schwalm
- J.Peter Schwalm, Arve Henriksen
- J.Peter Schwalm, Markus Reuter
- Jamie Saft
- Jamie Saft Quartet
- Jamie Saft, Bobby Previte, Steve Swallow e Iggy Pop
- Jamie Saft, Steve Swallow, Bobby Previte
- Jo Berger Myhre
- Joshua Trinidad
- Jü
- Kick
- Kingfisher
- Kristina Jacobsen
- La Band del Brasiliano
- La Città di Notte
- LACOSA
- Laura Loriga
- Le bandesonore
- Led Bib
- LEF
- Levriero
- Liquido Di Morte
- Lorenzo Feliciati
- Lorenzo Feliciati, Michele Rabbia
- Low Standards, High Fives
- Magnet Animals
- Manetti!
- Marco Frattini
- Marilyn Mazur
- Massimo Martellotta
- Merzbow, Keiji Haino, Balazs Pandi
- Merzbow, Mats Gustafsson, Balás Pándi
- Mike Pride
- Missincat
- Movie Star Junkies
- Movimento Artistico Pesante
- Mumpbeak
- My Gravity Girls
- Neko At Stella
- Nelide Bandello
- News For Lulu
- Non Voglio Che Clara
- Norman
- O.R.k.
- Obake
- OoopopoiooO
- Orange Combutta
- Ornaments
- Ornaments/ZEUS!
- Ottone Pesante
- OTU
- Oui! The North
- OvO
- Palazzo
- Paolo Cattaneo
- Paolo Spaccamonti e Ramon Moro
- Peter Kernel
- Philipp Gerschlauer and David Fiuczynski
- Recall Madame X
- Red Kite