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Milano non contiene amore

“Milano non contiene amore” è frutto di un desiderio e di un percorso durato cinque anni, sia da un punto di vista puramente artistico, quanto propriamente geografico. Infatti, la gestazione del secondo album del cantautore siciliano Cesare Livrizzi – pubblicato a cinque anni di distanza dal suo album d’esordio “Dall’altra parte del cielo” (Zone di Musica) – è avvenuta grazie ad una congiuntura di avvenimenti, esperienze e suggestioni provenienti da parti diverse della penisola e da una rete composta da diverse figure, collegate tra loro dalla realizzazione di questo disco. È un album che parla di distanze, come quella che separa Bologna e Milano e che rende queste due città diverse e quasi antagoniste nell’anima di Livrizzi: la prima vissuta come un’accogliente gabbia dorata giovanile in cui si sono accumulate esperienze affettive e sociali fondamentali, la seconda paragonata a una splendida donna, tanto affascinante quanto algida e distante, che non promette mai amore ma offre sprazzi di vita intensa a cui diventa difficile dover rinunciare. Proprio ai tempi di Bologna tra l’altro, prima ancora di trovare la loro forma definitiva, le composizioni di Cesare hanno avuto un padrino a dir poco eccezionale come Lucio Dalla, il quale ha spinto Livrizzi a concentrarsi sulla scrittura in italiano. Ma, oltre alla presenza spirituale di Dalla, a impreziosire questo lavoro contribuiscono alcune collaborazioni decisive: tra tutte quella di Marco Parente, produttore artistico del disco e guida stabile nell’arrangiamento dei brani, innamoratosi fin da subito della loro versione primordiale, solo voce e chitarra. Sotto la sua supervisione e con il contributo di Vincenzo Vasi (basso e tastiere) e Valeria Sturba (violino elettrico, violino acustico, elettronica e voci, presente con i suoi archi anche nel precedente album) i brani hanno acquisito la loro forma definitiva presso lo Studio Spaziale di Bologna per poi viaggiare fino alle campagne di Brescia, nel Perpetuum Mobile di Alessandro Asso Stefana (chitarra elettrica, slide guitar) dove, tra strumenti di ogni genere, i pezzi sono stati ulteriormente raffinati. Dulcis in fundo il contributo di Roberto Dell’Era, tra i migliori incontri fatti da Livrizzi a Milano, contenuto in ‘Finito il male’, un bellissimo brano sull’eutanasia (tema in particolare sintonia con quelli presenti nell’ultimo album degli Afterhours, band i cui echi si fanno sentire in quasi tutto il disco di Livrizzi). ‘Due Petali’ apre ‘Milano non contiene amore’ ed è un pezzo molto classico e senza tempo, che trasuda sentimento, lasciando galleggiare placidamente immagini e figure retoriche in un mare di chitarre e organi che brillano in controluce. Il secondo brano, la title track, è caratterizzato da un ritmo più frenetico che richiama quello della vita della grande città e da un suono più marcatamente pop-rock, creato dalle chitarre elettriche. ‘Da tre mesi’ vira su suoni di chitarre folk – grande protagonista è la slide suonata da Asso – perfettamente in sintonia con il testo, un credibile esempio di Americana italiana che non scade mai nella manieristica imitazione. ‘Finito il male’ è la canzone arrangiata insieme a Roberto Dell’Era e affronta un tema attuale e delicato come l’eutanasia con grande realismo e sensibilità. Oltre al basso di Dell’Era, il ritmo di una batteria in levare e i frequenti crescendo conferiscono al brano una notevole spinta vitale. Con ‘Single vista bagno’ ci troviamo davanti ad uno dei pezzi più interessanti del disco sia sotto il punto di vista stilistico, composto dagli arrangiamenti folk rock delle chitarre e della tastiera, sia per quanto riguarda i racconti visionari del testo. Ne ‘Il Cambio’ torniamo in una dimensione sospesa, caratterizzata da fraseggi di chitarra d’ispirazione blues rock e da un testo sempre molto ricco di immagini suggestive, ma decisamente più ironico. Nel brano ‘In alto i medi’, Livrizzi riprende una certa tradizione italiana di blues graffiante alla Edoardo Bennato, offrendo una delle prove più interessanti di tutto l’album soprattutto nell’uso della voce e della ritmica del testo. Una chitarra in levare ci conduce in ‘Respira’ che prende il volo con le ampie volute costruite dal violino, strumento protagonista anche in ‘Con un Bue in Stomaco (Rumori di Fame)’. Chiude il disco la drakeiana “Teresa e il Mare”: Teresa che con i suoi occhi guarda il mare, immenso e implacabile, sul finire dell’estate.