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The Chosen One

Un viaggio, di quelli in cui il ritorno non è assicurato. O almeno di quelli che ti cambiano. Il nuovo album di The Three Blind Mice, “The Chosen One”, attraversa epoche, scenari e stazioni diverse tra loro, passando per i meandri delle storie umane dove perdersi è inevitabile e forse desiderabile. You know I’m just a lonely traveller, on the river of no return. Le canzoni contenute in quest’album sono state scritte tra Milano e Berlino. Dal 2010, anno in cui i The Three Blind Mice hanno pubblicato il primo EP e in cui hanno avuto il contratto con l’etichetta tedesca Pale Musik, Berlino è diventata la seconda città del frontman della band Manuele Scalia. Create le prime relazioni, la band ha iniziato a suonare in importanti club della città, aperto per gente del calibro di Lydia Lunch e Gallon Drunk e stabilito un rapporto fondamentale con parte della scena della Berlino-Ovest anni ‘80: Einsturzende Neubauten, Die Haut, Crime & The City Solution, Jingo De Lunch. Alla fine del 2011 per le registrazioni del primo album, “Early Morning Scum”, i ragazzi scelgono uno studio all’interno della Funkhaus: un complesso di edifici sulle rive della Sprea, a sud-est della città, sede dal 1956 al 1990 della radio della Repubblica Democratica Tedesca (DDR). In quello stesso anno i The Three Blind Mice conoscono Kristof Hahn, membro berlinese della band di culto americana Swans il quale, quando non è impegnato con Michael Gira e soci, ha altri progetti musicali a Berlino. “The Chosen One” ha cominciato a prendere forma in quel periodo. Per motivi non sempre legati alla musica Manuele si trovava spesso nella capitale tedesca, un luogo dove poter essere uno straniero totale e contemporaneamente sentirsi a casa. Ed è forse questo il tema principale dell’album. La nostalgia per un luogo, un affetto, che è così lontano da farti dubitare che sia mai esistito. “The Chosen One” potrebbe essere il figliol prodigo che torna a casa ma non ci entra perché̀ non la riconosce. Le sue radici si sono piegate all’inverso e non affondano da nessuna parte se non dentro di lui. Oppure potrebbe essere il Ramblin’ Man di cui cantava Hank Williams, l’uomo che non può mettere radici perchè la sua natura è quella di girovagare, non importa dove, quando si arriva si riparte già. “The Chosen One” perchè la sua condizione di estraneo nel mondo è l’unica possibile. E presumibilmente così piace a Dio. Il tema del viaggio, dell’essere da qualche parte lontano da qualcosa o da qualcuno, lega canzoni quali River Of No Return, Sailor Song, Neon Lights, Gospel Train. Mentre We’re Strangers, Everything That Rises e la cover da Lee Hazlewood The Night Before investigano impietosamente i rapporti a due. Rispetto a “Early Morning Scum”, che era un album scuro con un’attitudine garage, “The Chosen One” è meno classificabile, più personale. La scrittra dei brani è stata influenzata da disparati ascolti: dagli spiritual afro-americani al folk/country americano, in particolare Townes Van Zandt e Hank Williams a Lee Hazlewood fino a Bryan Ferry e Roxy Music. Poi innegabilmente ci sono le influenze che stanno nel dna dei Three Blind Mice: dai suoni di frontiera stile Calexico, a Morricone e gli spaghetti-western, la musica surf, e ovviamente il post-punk anni 80. Quando è venuto il momento di registrare i TBM sono tornati nuovamente allo Shaltraum e hanno chiesto a Kristof se avesse voluto essere coinvolto in veste di produttore. “The Chosen One” è un lavoro intenso, che conferma lo spessore artistico dei Three Blind Mice, capaci di farsi influenzare e arricchire da tutto ciò che hanno visto e ascoltato, ma senza mai perdere la propria specificità, e l’abilità nel descrivere rapporti e sensazioni alternando le due estetiche di riferimento, quella fredda ed industriale mitteleuropea e quella americana, più calda e bruciante. È tutto qui, in questi 45 minuti che mostrano ancora una volta che il linguaggio del rock, quando sostenuto da profondità intellettuale ed emotiva, è universale e che non esistono luoghi e terre d’origine che possano rendere meno credibili i suoi artefici. Questo è un disco che sgorga da qualche luogo nascosto dell’animo umano e non appartiene a nessuna terra, ma è pronto ad andare per il mondo, nel suo viaggio senza ritorno.