LEV è un gruppo strano, dai confini poco definiti. Partono da Padova, ma li puoi trovare sparpagliati un po’ ovunque, tra l’Ikea di Bologna e quella di Tottenham. Si montano e si smontano, si trovano e si incastrano. E intanto producono musica. “EP2” è il loro primo lavoro, cinque pezzi mutevoli, echi lontani di Kings of Convenience e di elettronica low-fi, un piccolo altare dedicato a Damon Albarn nelle sue multiformi incarnazioni, i Tears For Fears nascosti nell’armadio e David Byrne come stella polare, decine e decine di giga via Dropbox, nessuna preoccupazione di farsi contaminare, di mischiare e di mischiarsi. Unico vincolo, non sbarellare. Restare nella forma canzone, restare dentro i confini della musica pop. Così i 20 minuti di musica di “EP2” si compongono di strati differenti, “Damn Dogs” parte morbida e acustica e via via si inspessisce di batterie elettroniche, “Paranoia Da Ballo” invece volutamente deraglia con una tromba alla Arrington De Dyoniso, “Null (kramut)” sta su binari più lineari, tra reverse e drum machine, e una voce che copre e coinvolge. Chiudono una “Joey Told Me” danzereccia e riverberata, mentre “Reflections” mostra come si possa essere delicati anche mettendo una cassa in quattro per buona parte di una canzone. Ma come detto, i LEV non si pongono limiti, suonano, sparigliano le carte, incastrano momenti apparentemente lontanissimi, comprano biglietti aerei, riscrivono sul pentagramma i loro viaggi mentali. I LEV sono Matteo Fio, Tommaso Russo, Leonardo Rossi, Giulio Abatangelo e Alberto Pagnin (gli ultimi due suonano anche con i Klune), e nonostante le distanze e la beata incoerenza dietro cui ogni tanto si nascondono, sembrano avere le idee abbastanza chiare. Nonostante nemmeno loro sappiano bene cosa significhi LEV. Nonostante il loro primo lavoro si chiami “EP2”. Nonostante Bologna, Padova e Londra. I presupposti per una buona storia da raccontare, strana e sfaccettata al punto giusto, ci sono tutti.
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