Brassphemy set in stone

A un anno dall’uscita dell’EP con cui si sono presentati al mondo, gli Ottone Pesante pubblicano il loro primo album, a conferma del fatto che non si trattasse di un progetto estemporaneo né un divertissment. Con un tour di quasi 90 date alle spalle e altre decine di live in Italia ed Europa come sezione fiati aggiunta di Calibro 35, un cambio importante nella formazione (uscito Simone Cavina è arrivato in Beppe Mondini – già con Meteor, Nerocapra, Nana Bang e Scisma – a sostenere coi suoi tamburi il lavoro degli ottoni di Francesco Bucci e Paolo Raineri) e apprezzamenti trasversali da ambienti metal a quelli dei festival busker e jazz, gli OP fanno un passo avanti nella sfida all’idea tradizionale di metal impostato sull’architrave chitarra/basso. “Brassphemy set in stone” è un’evoluzione e non una semplice estensione del primo lavoro omonimo degli OP, la cui musica si è fatta ancora più serrata ed estrema, anche dal punto di vista tecnico. La scrittura, di cui è principalmente artefice Francesco Bucci, mantiene sempre un approccio melodico e nell’album sono contenute anche alcune divagazioni di stile per dare respiro all’ascoltatore (come il doom di “Trombstone”, non a caso piazzato a metà del disco) ma la ferocia e la velocità media dell’album sono impressionanti, richiedendo una capacità di sopportazione fisica e mentale non comune. Si parte con “Brutal” manifesto programmatico del Brass Metal, una selvaggia cavalcata Brutal a cui segue senza respiro “Nights Blood”, brano in stile Melodic Death Metal, ispirato agli svedesi Dissection. “Bone Crushing” è il brano scelto per il primo video, clip girato tra le montagne a illustrare quanto fisica e archetipicamente virile sia la musica di Ottone Pesante: servono muscoli e polmoni e qua si soffia e si picchia non poco. E poi ancora “Torture Machine Tool”, brano ispirato ai Meshuggah, gran riff e alcuni soli di tromba del tutto inusuali: è ora di prendere fiato e come spiegato non è un caso che l’ostinato, ultra dilatato Doom di “Trombstone” sia inserito a metà scaletta: l’ascoltatore è accompagnato in una inesorabile ma lenta discesa negli inferi. Con il Grind di “Copper Sulphate”, picco di velocità di tutto il disco, si viene immediatamente rigettati nella mosh pit, mentre in “Pig Iron” e “Melodic Death Mass” a fianco del ritmo serrato e degli incastri inaspettati tipici di OP troviamo anche fraseggi melodici. “Redsmith Veins” vira verso il Thrash: il fabbro picchia duro e non risparmia energie mentre percuote il metallo e le orecchie. La chiusura è affidat ad “Apocalips” uno dei brani più strutturati del disco, una cavalcata di quasi quattro minuti dove OP vuole fare capire che ha ancora forza per aggredire l’ascoltatore. La perfetta conclusione per questo lavoro. Il disco è stato registrato in presa diretta in quattro giorni tra fine maggio ed inizio giugno 2016 – unico periodo in cui il tour di OP si è fermato per qualche settimana – al Deposito Zero di Forlì da Tommaso Colliva che l’ha poi mixato nel suo Toomi Labs di Londra.