How We Fall

Per anni le composizioni e le produzioni di J. Peter Schwalm sono state una prova impressionante dell’intensità dei suoni senza parole. Più coerente che mai, nel suo nuovo album “How We Fall”, Schwalm crea sculture sonore che trascendono le categorie più comuni. Le loro strutture possono assumere forme ruvide o dolcemente curve, dispiegare effetti associativi o contemplativi e possono anche far rabbrividire l’ascoltatore. La sensibilità di Schwalm per le sfumature, gli archi di tensione e i suoni individuali si basa sul talento e su un’esperienza pluriennale.
Il suo ultimo album prima di questo nuovo “How We Fall”, intitolato “The Beauty Of Disaster”, risale alla primavera del 2016; il lavoro ruotava intorno ad una dualità che modella le arti visive e la musica, oltre che la vita stessa: una certa malinconia che è sempre insita nella speranza. Poi, nell’autunno 2016 una svolta nella sua vita, un’esperienza esistenziale che ha lasciato tracce profonde: al musicista (nato a Francoforte sul Meno nel 1970) viene diagnosticato un tumore cerebrale, che deve essere rimosso chirugicamente. Durante l’intervento la procedura si dimostra però impossibile e Schwalm viene sottoposto a chemioterapia. Nel corso dell’anno successivo il nostro si rimette al lavoro su una serie di pezzi che inevitabilmente riflettono stati d’animo quali irrequietezza, paura, disperazione e rabbia, mentre lo sforzo artistico è concentrato nella capacità di elaborare queste emozioni in suoni astratti. La ripartenza dopo la pausa per malattia non è stata facile: “Nelle prime settimane dopo l’operazione, ho ascoltato il mio archivio per distrarmi e ispirarmi. Ho iniziato a progettare miniature al pianoforte, sviluppando armonie che ho poi trasferito alle mie macchine. Mi sono però reso conto che dovevo riscoprire parti della mia attrezzatura perché non ne ricordavo tutte le funzioni”. Questo si spiega in parte con il fatto che il musicista tedesco ha negli anni utilizzato tecniche avanzate e molto particolari, alcune delle quali da lui personalmente sviluppate e insegnate in occasioni di festival e seminari in tutto il mondo. Nel corso del tempo, Schwalm ha trasformato le sue idee originali, ha variato e ampliato la gamma dei timbri delle sue composizioni fino a rendere irriconoscibili gli strumenti di cui si avvale. “Durante il processo mi sono reso conto che ci sono paralleli tra le mie esperienze personali e le mie emozioni e l’attuale situazione sociale e politica nel mondo”, aggiunge Schwalm. Questo pensiero lo ha portato a scegliere per alcuni pezzi del nuovo album titoli che assomigliano in modo ingannevole a dei termini inglesi. “Altri sono invece nomi di veri villaggi tedeschi, luoghi appartenenti ad un’area scelta dal comando militare americano durante la Guerra Fredda come zona di eventuale sgancio di armi nucleari, per prevenire possibili attacchi sovietici che tentassero di occupare la Germania” spiega Schwalm, che proviene proprio da questa regione, chiamata “Fulda Gap” (Varco di Fulda).
I sorprendenti cambiamenti sonori che troviamo nella iniziale “Strofort” sono un esempio per i successivi 45 minuti. Suggestivo come una colonna sonora che non ha bisogno di immagini, il brano collega, disponendole con cura, diverse superfici e frammenti di un linguaggio immaginario, che ci proiettano in un’altra dimensione. Nel corso dell’album ci sono pezzi come “Stormbruch” che spingono oltre il limite il concetto di drone in lenta crescita. Oppure “Clingon”, giocata interamente sullo sviluppo di pulsazioni. “Rispetto al disco precedente, questa volta ho lavorato di più con dettagli ritmici, inclusi metri dispari e opposti”, spiega Schwalm. Per J. Peter Schwalm “How We Fall” è una sorta di istantanea scattata in un tempo relativamente breve rispetto ai lavori precedenti. “La musica rappresenta un universo chiuso che riflette il momento e le circostanze in cui è stata creata”, spiega. Tutti i pezzi di questo album sono profondamente personali, espressione intensa di un artista sonoro che non deve scendere a compromessi. La musica senza dubbio suona scura, ma mai depressa, e quasi sempre si scorge un accenno di luce.