The Greyout

Dopo aver pubblicato un EP omonimo di quattro brani nel 2014 e aver aperto i live di band come ZEUS!, Morkobot, Necrodeth, Primal Fear, Nero Di Marte e altri, la band lombarda dei Kingfisher, caratterizzata dalla presenza di tre bassi e nessuna chitarra, arriva finalmente al debutto sulla lunga distanza con “The Greyout”, in uscita per Bello Records a Gennaio 2016. Ed è un disco che colpisce per lucidità della scrittura, potenza e precisione strumentale e credibilità di livello internazionale. “The Greyout” è caratterizzato dalla sperimentazione sulla distorsione dei tre bassi (Davide Scodeggio ed Emanuele Nebuloni coi loro bassi effettati e Alessandro Croci), senza sacrificare per questo la costruzione di vere e proprie canzoni piene di atmosfera, nel solco di una tradizione heavy che vede i suoi migliori esponenti in band come Deftones, A Perfect Circle e Queens Of the Stone Age. Negli 11 brani contenuti in questo primo album effetti, distorsione e melodie restano sempre in equilibrio simbiotico, supportati dalla ritmica percussiva e ipnotica su cui si inserisce il cantato ruvido e potente ma capace di stendersi anche più morbidamente di Renato Di Bonito, che ricorda spesso Maynard James Keenan, in altri momenti Richard Patrick dei Filter. I Kingfisher entrano spezzando mascelle, proprio come il devastante destro di un giovane Mike Tyson, nell’iniziale trittico che lascia senza fiato formato da “Red Circle”, “Sentient” e “Worm Tongue”, dimostrazione di una forza bruta ma chirurgica, una violenza fredda e razionale seguita dal cupo raid ritmico di “The Greyout”, in cui i riff di basso vanno a sincronizzarsi con il rullante, mentre dalle profondità emerge il wah-wah applicato alle quattro corde. A differenza di altre band italiane composte da “soli” due bassi (Morkobot), i nostri sfoggiano una potenza di fuoco che gli permette innalzare un temibile wall of sound, una parete scoscesa i cui unici appigli sono le melodie che pure emergono, quando il moto ondoso si abbassa, come nella splendida suite composta da “Oneiric” e “Eleven”, nella cui trama si intravedono articolate strutture para crimsoniane (periodo The Power To Believe) mentre la voce di Renato ammicca più chiaramente a quella di Keenan. Viene poi spontaneo pensare a Zu e ZEUS! per i dialoghi fra basso e batteria impegnati in una caccia senza tregua in brani come “Bizarre” e “Relentless”, mentre la conclusiva “Mandàla”, take quasi interamente strumentale (arricchita dai vocalizzi della splendida voce di Stefania Nebuloni), piena di chiaroscuri e fini inserti del basso, deflagra come una supernova sulla coda, con il ruggito del basso incredibilmente distorto. “The Greyout” è stato scritto a cavallo tra 2014 e 2015 e registrato e mixato alla Sauna con Andrea Cajelli nell’estate del 2015. Il master è stato affidato a Giulio Ragno Favero. Creatura mutante fatta di molte teste a quattro corde, che si alternano mostrando una natura proteiforme, i Kingfisher vincono grazie alla costruzione stratificata di un progetto sonoro d’incredibile potenza ma molto attento al formato canzone classico. Eyes Wide Open verrebbe da dire, in omaggio al Re Cremisi e come monito per l’ascoltatore, punto d’impatto in cui i Kingfisher rilasciano tutta la loro energia.